CARTA D'INTENTI DEL MOLFETTA SOCIAL FORUM

 

Il processo economico, sociale, culturale e politico noto come globalizzazione costituisce la fase attuale del sistema capitalistico e nega il binomio sviluppo-progresso in tutte le zone del mondo. Questo sviluppo economico-finanziario senza limiti non porta automaticamente al progresso civile e materiale delle comunità e dei popoli ma anzi è fonte di crisi e povertà. Il neoliberismo negli ultimi due decenni ha prodotto una serie di conseguenze con notevoli ricadute sulla vita di ogni singolo abitante del mondo. La globalizzazione economica e il processo di costruzione del nuovo assetto unipolare hanno creato e creano numerose tensioni e contraddizioni nel quadro geopolitico planetario. Nel mondo attuale la logica del profitto e della guerra ha invaso ogni campo della società e della vita spazzando via la pace, la giustizia, la solidarietà, i diritti umani.

Noi riteniamo che un altro mondo, un mondo diverso non solo sia necessario ma anche possibile e vogliamo cominciare a costruirlo con le nostre idee, le nostre proposte, la nostra creatività. Pensiamo che la coesistenza di diverse opzioni etiche e politiche nel “movimento dei movimenti” produca livelli di ricchezza,scambio e avanzamento critico mai sperimentati prima e che siano legittime le strategie di resistenza alla globalizzazione capitalistica purché orizzontalmente condivise, radicate nel movimento e non deleterie per quest’ultimo.

Condividiamo strategie di resistenza ai poteri forti di cui sia dubbia la legittimità, la rappresentatività democratica e il consenso dal basso, attraverso forme di lotta e di disobbedienza nonviolenta e il diritto all’autodifesa in situazioni di oggettiva sospensione della democrazia e di rimozione delle elementari garanzie dello stato di diritto.

Crediamo che dal conflitto si debba partire: intendiamo per esso non le logiche di guerra e di amico-nemico ma il riconoscimento e la gestione di contrapposizioni fondate sullo scontro-confronto-incontro tra posizioni dialetticamente diverse, senza però avere il fine di reprimere e sopprimere l’altro. Condividiamo la pratica della nonviolenza attiva tesa all’eliminazione di situazioni di ingiustizia mediante il ricorso a strategie di " non-cooperazione". Privilegiamo i metodi di azione nonviolenta: in primo luogo il dialogo e il negoziato che, in caso di fallimento, chiamano in causa “armi” più pesanti quali la disobbedienza civile nella pratica del boicottaggio, dello sciopero locale e generale, del digiuno, dell’occupazione, dell’obiezione al servizio militare e dell’obiezione fiscale, utili strategie di non collaborazione con i sistemi iniqui.

Oggi noi formuliamo analisi per comprendere la realtà e dichiariamo anche i nostri intenti.

 

GUERRA E PACE

 

L’ultimo decennio ha visto il nascere di nuove tensioni e l’acuirsi di quelle vecchie, lo scoppio di guerre civili e imperialistiche in diverse zone del pianeta per il controllo di aree energeticamente, economicamente e politicamente importanti. La situazione del Medioriente, dei Balcani e dell’Afghanistan dimostra che la guerra è ormai “normale” strumento di intervento per governare il mondo, finalizzato a obiettivi strategici e a interessi economici immediati. Il neoliberismo ha nella produzione e nel commercio delle armi una delle più alte fonti di business. Esse sono prodotte e vendute con autorizzazioni concesse alle industrie di armamenti dai governi occidentali. Le sole risorse oggi impiegate negli armamenti servirebbero ad ovviare al divario fra Nord e Sud del mondo, per promuovere uno sviluppo alternativo. I processi di globalizzazione neoliberista inoltre si accompagnano ad una crescente militarizzazione della società. Ciò significa che la guerra diviene evento normale nella vita di ogni giorno, nelle relazioni umane e che la sicurezza sociale si ottiene con la capillare militarizzazione del territorio e non con la soluzione delle questioni sociali. La guerra inoltre rafforza la sua legittimazione attraverso l’ammissione-cooptazione delle donne all’esercizio delle armi.

Noi rifiutiamo la logica della guerra. Poniamo per questo a tutte le forze che rivendicano giustizia sociale la questione della pace come tema centrale di ogni esigenza e strategia di trasformazione. I movimenti pacifisti, quelli per i diritti di cittadinanza delle migranti e dei migranti, e il movimento internazionale femminista con la Marcia Mondiale delle donne contro le violenze e la povertà stanno contribuendo a costruire una coscienza pacifista e nonviolenta in tutto il mondo e hanno elaborato nuove letture della guerra vista come elemento costituente del nuovo ordine mondiale. Le nuove forme della guerra umanitaria e della guerra di religione stanno producendo un nuovo scontro di civiltà e mostrano che è in atto un processo di costruzione di un governo mondiale secondo gli interessi del capitale globale.

Il discorso sul pacifismo non può più esplodere in forme emergenziali solo quando scoppia un conflitto armato. È necessario andare oltre la semplice rivendicazione della pace. Riteniamo perciò che si possa e si debba discutere e agire per la pace anche al di fuori della sua contrapposizione e dipendenza rispetto alla guerra. La pace infatti non è solo assenza di guerra, né solo opzione etica, ma è anche e soprattutto costruzione politica, culturale e sociale. Su ciò chiamiamo i governi ad un impegno senza “se” e senza “ma”.

Condanniamo i crimini dell’11 settembre che, inaugurando una nuova fase nell’idea che nulla sia più come prima, hanno prodotto un’escalation di violenze terroristiche da entrambe le parti senza precedenti. Ravvisiamo altresì che il terrorismo internazionale è usato strumentalmente dai potenti della terra come arma di dominio ideologico sulle popolazioni stremate da situazioni di conflitto e guerra, da negazione dei diritti umani, da condizioni di povertà materiali e simboliche. Riconosciamo il diritto di queste popolazioni ad autodeterminarsi, a difendere la loro dignità umana e integrità fisica, ad esercitare il diritto alla cittadinanza, alla libera circolazione e alla fuga dai guasti prodotti dalla globalizzazione selvaggia. Riteniamo pertanto legittime le lotte e le resistenze presenti nel mondo contro i regimi colonialisti, le dittature e le occupazioni militari, contro la distruzione del territorio e delle culture (l’Intifada palestinese, lo zapatismo in Chapas, la lotta kurda, quella tibetana, quelle europee dell’Irlanda del Nord, dei Paese Baschi e della Corsica), quelle ambientaliste e per il diritto alla terra (dei Sem Terra brasiliani, dei campesinos e delle recenti lotte in Equador), fino a quelle delle Farc in Colombia e dei “cocaleros” boliviani contro la fallimentare politica di distruzione dei campi di coca che non offre alcuna strategia economica alternativa per la vita dei coltivatori e di quelle popolazioni.

ISTITUZIONI INTERNAZIONALI

Nell’attuale quadro di “guerra permanente” è necessario il superamento di visioni particolaristiche o nazionalistiche che intendano ciascuno stato come comunità autosufficiente non obbligata a rispondere alla comunità mondiale. Le istituzioni internazionali (OMC, FMI, BM, G8) che oggi pretendono di decidere del destino dei popoli e propongono ancora una volta il neoliberismo come soluzione ai problemi originati dalla stessa globalizzazione, presentano un deficit di democrazia.

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in inglese WTO, World Trade Organization, creata nel 1994 per liberalizzare il commercio internazionale abbattendo le barriere doganali, afferma il primato del libero commercio e considera le leggi a tutela dei lavoratori, dei cittadini, dell’ambiente barriere al conseguimento dei propri obiettivi. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è stato creato nel 1947 con lo scopo di controllare la stabilità finanziaria mondiale; in esso un dollaro equivale ad un voto. La Banca Mondiale (BM), anch’essa creata nel 1994 al fine di aiutare i paesi più deboli, in realtà col Fondo Monetario Internazionale ne ha governato le politiche economiche; in essa il potere di voto dipende dal contributo finanziario di ogni paese membro (i paesi del G8 dispongono del 45% dei voti e gli USA da soli detengono il 17% dei voti totali). I paesi destinatari dei prestiti utilizzano i 2/3 dei fondi ricevuti per ripagare il debito internazionale paralizzando la propria economia ed il proprio sviluppo. Nel G8 il diritto di veto nazionale consente di bloccare soluzioni internazionali sgradite perché non favorevoli ai propri interessi particolari.

Questi organismi:

• discutono dei problemi mondiali e prendono decisioni che riguardano l’intero pianeta;

• difendono gli interessi di alcuni stati e delle multinazionali e non quelli dei popoli del mondo, provocando un divario sempre più consistente tra paesi ricchi e paesi poveri;

• effettuano scelte che non tutelano i diritti dei cittadini, dei lavoratori, dell’ambiente;

• fanno sì che i paesi del Sud del mondo non abbiano voce solo perché più poveri, costringendo questi ultimi ad alleanze economico-commerciali che agevolano esclusivamente gli interessi dei paesi ricchi.

Noi rifiutiamo questa logica e questo modo di agire e combattiamo lo sfruttamento subdolo dei poteri economici nascosti dietro le sigle di queste organizzazioni internazionali con tutte le armi politiche, civili ed incruente, in nostro possesso. La logica del profitto calpesta i diritti elementari pur di raggiungere i suoi obiettivi. Siamo convinti della necessità di un nuovo modello di sviluppo più etico nell’economia e più giusto socialmente e condividiamo le esperienze di finanza etica mentre condanniamo le banche “armate”. Siamo a favore di leggi contro la concentrazione di potere economico nelle mani di pochi e chiediamo una maggiore trasparenza e democrazia agli organismi internazionali. Condividiamo le esperienze e i metodi di democrazia partecipata come quella di Porto Alegre.

Un discorso a parte merita l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), organismo internazionale molto rappresentativo che raccoglie poco meno di 200 paesi. Condividiamo le finalità che esso si pone: salvaguardia della pace e della sicurezza; promozione della cooperazione; tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, ma purtroppo queste restano solo enunciazioni di principi. Svilito nel suo ruolo, l’ONU è divenuto cassa di risonanza degli stati più forti. L’Assemblea Generale, unico organo veramente democratico, emette documenti che mancano di forza vincolante. Il Consiglio di Sicurezza, invece, ha potere deliberante e le sue decisioni sono prioritarie rispetto a quelle dell’Assemblea Generale; esso è formato da 15 membri di cui 5 permanenti (USA, Russia, Regno Unito, Francia, Cina) che detengono la prerogativa antidemocratica del diritto di veto. Condividiamo per questo la richiesta, proveniente da più parti, di una riforma dell’ONU che:

• attribuisca poteri decisionali all’Assemblea Generale con la trasformazione da Assemblea dei governi in Assemblea dei rappresentanti dei popoli;

• ridisegni la struttura del Consiglio di Sicurezza, subordinandolo all’Assemblea Generale, in favore di una maggiore trasparenza e democraticità;

• preveda interventi su quelle questioni economiche che creano ingiustizia sociale a livello internazionale e nazionale;

• proceda alla riconversione degli eserciti in polizia internazionale da porre sotto l’egida dell’ONU e alla creazione di un gruppo per la difesa civile (Caschi Bianchi).

 

ECONOMIA, AMBIENTE E LAVORO

Un altro mondo è possibile se si crede in un’economia sostenibile alternativa allo sfruttamento capitalistico del lavoro e dell’ambiente, e non in uno sviluppo capitalistico sostenibile e compatibile; se non si cade nella trappola delle “compatibilità” economiche, per cui i lavoratori e l’ambiente sono importanti ma a patto che siano subordinati alle esigenze delle imprese. È necessario passare ad una concezione diversa della razionalità economica che non ubbidisca alle leggi del profitto a scapito del lavoro, dell’ambiente, dei beni comuni globali (terra, acqua, aria ma anche cibo, salute, istruzione, cultura, assistenza sociale, trasporti). La privatizzazione dei beni comuni globali conduce alla spoliazione pubblica e alimenta il benessere solo per pochi e per un breve periodo. Lottiamo affinché questi beni siano diritti universalmente esigibili. Scegliamo quindi la centralità dei lavoratori e dell’ambiente contro quella del profitto delle imprese, multinazionali e non, perché sfruttamento del lavoro e dell’ambiente significa negazione della dignità dell’uomo e irreparabili danni alle risorse comuni.

Contestiamo l’attuale strategia energetica dei paesi più ricchi perché si basa imprudentemente sullo sfruttamento di risorse non rinnovabili (petrolio, carbone, gas naturale) e altamente inquinanti e costituisce uno dei principali motivi per cui scoppiano le guerre. Siamo favorevoli alla diffusione di tecnologie a basso consumo di energia e di misure volte ad evitare gli sprechi ma fermamente convinti che unica vera alternativa sia lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili (eolica, solare, biogas, biomasse e biocarburanti).

Riteniamo che si debba partire dal conflitto sociale e appoggiamo le lotte per i diritti del lavoro contro la flessibilità e la precarietà. Proponiamo la difesa del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), dello Statuto dei Lavoratori, l’estensione delle sue tutele e siamo favorevoli a misure più eque di redistribuzione della ricchezza.

Sosteniamo l’applicazione della Tobin Tax e di tutte le misure tese ad arginare il predominio della finanza sull’economia reale e sulle scelte politiche e sociali. Il debito estero dei paesi poveri nei confronti di quelli ricchi è un grave ostacolo allo sviluppo e al progresso dei paesi debitori, le cui classi dirigenti locali non sono del tutto esenti da colpe e responsabilità. Questi paesi sono costretti a spendere buona parte delle loro risorse per pagare gli interessi del debito e a sacrificare sanità, istruzione e servizi sociali. Chiediamo la cancellazione del debito come atto di giustizia e solidarietà.

Il perseguimento del bene comune va realizzato mediante l’attivazione di strumenti e strategie che consentano alle comunità meno sviluppate di uscire dal sottosviluppo nella forma della cooperazione senza che vengano però limitate la loro libertà e dignità. Per questo siamo con tutte quelle organizzazioni che oggi, contro ogni totalitarismo globalizzante, agendo localmente e pensando globalmente, sperimentano differenti stili di vita e modelli di consumo, perché i parametri dello sviluppo del mondo industriale occidentale non sono valori universali.

Una manifesta situazione di ingiustizia connota oggi i rapporti e le relazioni commerciali tra i Nord e i Sud del mondo. Siamo convinti della necessità di un radicale mutamento culturale che ridefinisca il commercio a partire da un principio basilare, quello etico. È necessario scommettere su un nuovo tipo di consumatore, responsabile e in grado di conoscere e di decidere i propri consumi. Per questo siamo favorevoli al commercio equo e solidale che crea un mercato alternativo al commercio capitalistico; agli obiettivi e alle modalità gestionali della banca etica, intesa come punto di incontro tra risparmiatori che condividono l’esigenza di una più responsabile gestione del proprio denaro e quelle realtà che perseguono finalità di sviluppo sociale piuttosto che di profitto.

 

SCUOLA ED UNIVERSITÀ

 

Nel campo dei saperi e della formazione si gioca una partita pericolosa legata ai processi di privatizzazione e di mercificazione tipici dell’economia neoliberista. Le risorse dell’intelletto umano sono sempre più asservite alle logiche del mercato, del profitto “a tutti i costi”. Oggi le destre, accentuando in senso liberista un percorso iniziato con le precedenti esperienze di governo di centrosinistra, pongono le basi per il ritorno ad una società in cui il livello di istruzione è predeterminato dalla classe sociale di provenienza, cioè una società che avvantaggia coloro che hanno già le possibilità economiche per ricorrere all’istruzione privata.

I tagli di fondi all’istruzione pubblica, i finanziamenti alle scuole private (contrari alla Costituzione repubblicana), il non riconoscimento di un equo e dignitoso trattamento economico ai docenti e ai lavoratori della scuola esprimono una crescente subordinazione alle leggi del mercato. L’obiettivo finale non è l’avvicinamento del mondo dell’istruzione e della formazione professionale al mondo del lavoro, bensì la creazione di due livelli scolastici: uno per formare tecnici e operai specializzati flessibili e utili alle necessità contingenti delle aziende ed uno per quei pochi  e ricchi che saranno classe dirigente.

L’aziendalizzazione dell’università negli anni ‘90 ha prodotto una riduzione del diritto allo studio: l’aumento dei corsi a numero chiuso, l’innalzamento delle tasse (sempre più in base al merito e non al reddito), il peggioramento dei servizi (mense, alloggi, borse di studio, trasporti). L’autonomia didattica – principio valido di per sé – è stata inserita in una cornice di autonomia finanziaria che porta ad una logica di competitività fra gli atenei. I finanziamenti privati incidono sempre più sui contenuti della didattica, a scapito di una formazione culturale generale e critica di largo respiro, poiché le imprese preferiscono tecnici che non si chiedano il “perché” delle conoscenze che producono e trasmettono.

Noi ci opponiamo a questo modello e proponiamo un sistema formativo aperto al mondo esterno, che favorisca lo sviluppo del pensiero critico degli studenti, che educhi al rispetto dell’altro e alla convivenza tra i popoli, che riconoscendo e favorendo pratiche di autogestione valorizzi le potenzialità e la fantasia degli studenti. Vogliamo un’istruzione che a tutti i livelli sia pubblica, laica, pluralista, democratica, realmente accessibile, libera dai condizionamenti del mercato e che aiuti a decidere del proprio futuro e non lo predetermini. Siamo contro ogni forma di finanziamento statale alle scuole private inaccessibili ai più, e chiediamo maggiori fondi per l’istruzione pubblica. Riteniamo insufficiente il peso delle rappresentanze studentesche elette in seno agli organi collegiali (consigli di classe, di istituto, di facoltà, di corso di laurea, senato accademico e consiglio d’amministrazione), e ne chiediamo l’incremento.

 

LA RICERCA SCIENTIFICA

 

La ricerca scientifica è lo strumento che più di ogni altro dovrebbe contribuire alla soluzione di problemi sanitari, ambientali, economici che affliggono il pianeta. I tagli di fondi alla ricerca pubblica e di base costringono le istituzioni preposte a rivolgersi a soggetti privati che legano la ricerca al profitto, sicché problemi che non lasciano intravedere nell’immediato vantaggiose ricadute economiche non divengono oggetto di ricerca. Il sapere perde così lo scopo principale di migliorare la vita degli uomini. Chiediamo un maggiore sforzo pubblico per finanziare la ricerca di base e favorire giovani ricercatori, garantendo ad essi un trattamento economico equo e dignitoso.

I rischi di una ricerca scientifica dettata dagli obiettivi e dagli interessi della “grande industria globale” sono testimoniati dall’immissione sul mercato di alimenti geneticamente modificati, pericolosi per la salute umana e per gli equilibri ambientali del pianeta. Gli organismi geneticamente modificati (OGM), comparsi circa venti anni fa, si sono diffusi grazie al loro impiego redditizio in agricoltura intensiva. Al fine di aumentare i profitti sono state compiute manipolazioni per rendere le piante resistenti ai diserbanti (oltretutto prodotti dalle stesse multinazionali che commerciano i semi) o a determinati parassiti nonché per costringere gli agricoltori a comprare i semi ogni anno, poiché quelli modificati non offrono possibilità di risemina. Le multinazionali produttrici di OGM – soprattutto americane – si rifiutano di commercializzare separatamente alimenti-OGM e quelli non-OGM e, appoggiate dal WTO, si battono per evitare l’obbligo di certificare sulle etichette dei prodotti l’impiego di OGM. Questi colossi agro-alimentari mondiali sostengono che gli OGM potrebbero risolvere il problema della fame nel mondo, il quale in realtà sarebbe risolvibile solo ridistribuendo più equamente le risorse alimentari del pianeta. Attualmente gli OGM sono convenienti solo per le multinazionali detentrici dei brevetti e rappresentano un pericolo:

• per il consumatore (allergie ai prodotti modificati, emergenze sanitarie del tipo “mucca pazza”);

• per l’ambiente e la biodiversità (contaminazione da OGM delle colture selvatiche; vulnerabilità delle colture nei confronti di nuovi parassiti; imprevedibili variazioni di delicati equilibri negli ecosistemi; ulteriore impoverimento dei terreni a causa delle monocolture intensive; aumento dell’inquinamento per l’uso di diserbanti);

• per gli agricoltori, completamente dipendenti dalle multinazionali produttrici monopoliste dei semi e dei diserbanti necessari a garantire lo sviluppo del raccolto.

  Riteniamo necessario promuovere azioni dal basso attraverso campagne di controinformazione e boicottaggio nei confronti dei prodotti di aziende che non rendono noto l’uso di OGM e di valorizzazione e diffusione dei prodotti dell’agricoltura biologica. Chiediamo l’applicazione senza deroghe del “principio di precauzione” secondo cui un prodotto OGM non si può commercializzare finché istituzioni terze e non legate ai laboratori delle multinazionali non verifichino scientificamente la sua assoluta innocuità per la salute e per l’ambiente. Le logiche del mercato non devono prevalere sul diritto alla salute e alla salvaguardia ambientale del pianeta. Il sapere scientifico, la salute degli uomini e del pianeta non sono merci che si possono vendere.

                                                                    

                                                                                                     

      Marzo 2002